Sotto la torre, tra i calcari e il mare, parla ancora l’uomo che fu prima dell’uomo: indagini geologiche e geofisiche sul sito neanderthaliano della Grotta di Torre dell’Alto di Nardò (Lecce)
Data:
9 Luglio 2025

Ad ascoltare la dottoressa Filomena Ranaldo, del Museo della Preistoria di Nardò, mentre osserva i sedimenti china sul terreno, si resta incantati dalla concreta possibilità che il sito della Grotta di Torre dell’Alto (Figura 1) conservi ancora segreti di un’umanità più remota; forse la testimonianza più antica della presenza del Neanderthal in questa zona del Mediterraneo.
Figura 1. Grotta Torre dell’Alto sulla costa ionica di Nardò (Lecce). E’ evidente in alto a destra la parete rocciosa dell’antica grotta crollata. Il telo di plastica protegge dagli agenti atmosferici i sedimenti di grotta oggetto di scavi archeologici.
La Grotta Torre dell’Alto è ubicata su una scogliera che si affaccia sul Mar Ionio, all’interno del Parco Naturale di Porto Selvaggio, Parco che costituisce un’area archeologica di importanza cruciale, poiché è proprio qui che la cultura uluzziana è stata riconosciuta e studiata per la prima volta, fornendo elementi fondamentali per la conoscenza del passaggio dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore. In quest’area sono documentate anche occupazioni continue dei Neanderthaliani comprese tra lo Stadio Isotopico Marino (MIS) 5 e il MIS 3.
La rilevanza della Grotta di Torre dell’Alto, già scavata in parte negli anni Settanta del Novecento dall’archeologo Borzatti von Löwenstern, risiede nell’ipotesi che potrebbe rappresentare tra i più antichi rifugi per le popolazioni neandertaliane durante fasi climatiche sfavorevoli. Il sito offre pertanto l’opportunità di comprendere le strategie insediative e dell’uso del territorio da parte di queste popolazioni del Pleistocene medio.
I litotipi nei quali si sviluppa la grotta appartengono alla formazione dei Calcari di Melissano (Cretacico) costituita da calcari compatti, a frattura irregolare, grigi e nocciola, talora chiari e porcellanacei, con intercalati calcari dolomitici e raramente dolomie vacuolari nocciola. L’area risulta caratterizzata dalla presenza di lineamenti tettonici responsabili dell’elevato grado di fratturazione. I depositi di grotta sono costituiti prevalentemente da sabbie siltose con presenza di ghiaia e massi calcarei.
In previsione del nuovo progetto di scavo del sito, il suddetto Museo ha richiesto una collaborazione del Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia dell’ISPRA per studi geologici e geofisici per la caratterizzazione del sito.
Il Dipartimento ha quindi condotto delle indagini geofisiche (Figura 2) con il metodo georadar (Ground Penetrating Radar, GPR) per identificare, all’interno dei sedimenti di grotta, le aree di depositi di importanza archeologica, delimitarne la forma, la profondità e l’estensione. Il GPR, metodo di indagine non-distruttivo che utilizza onde elettromagnetiche ad alta frequenza (da 10 MHz a 2 GHz e oltre) per ricerche di corpi sepolti o per definire la struttura interna di oggetti e materiali, si basa sull’immissione di onde elettromagnetiche e sulla misura del tempo trascorso tra la trasmissione e la ricezione in superficie degli impulsi riflessi dalle discontinuità incontrate nel sottosuolo.
Figura 2. Visualizzazione 3D delle indagini GPR su GIS
Le indagini hanno permesso caratterizzare stratigraficamente un’area di ridotte dimensioni, in prossimità dell’imbocco della grotta, occupata da sedimenti spessi intorno ai 4.5 m ma di estrema importanza archeologica che evidenziano, in parte, rimaneggiamenti causati dagli scavi parziali degli anni Settanta del Novecento. Tali risultati potranno guidare le prossime attività archeologiche che saranno condotte dal Museo e che avranno lo scopo di reperire e analizzare i manufatti litici e l’evoluzione dei comportamenti nel tempo dell’uomo di Neanderthal in questa zona del Mediterraneo.
Ultimo aggiornamento
9 Luglio 2025, 07:29